Sesso Bugie e Videogame - Manhunt

Sesso Bugie e Videogame - Manhunt



Approfittiamo del caso Manhunt per anticipare un capitolo estivo di una delle rubriche che andranno ad arricchire Gamesblog dal prossimo settembre.
Sesso Bugie e Videogame sarà un approfondimento (più o meno mensile) dedicato ai contenuti per adulti. Ci occuperemo, tra le altre cose di sesso, politica, violenza. L’idea, è di mantenere una certa freddezza ed esporre le opinioni di tutte le parti in causa su un determinato argomento, senza prendere posizione.

C’è da chiedersi, per prima cosa, è un momento storico questo? Probabilmente si. E’ la prima volta che un gioco viene completamente vietato in un paese dal mercato determinante. Non parliamo di un rifiuto di rilasciare un rating per il gioco o un voto AO (Adult Only) che rende il gioco virtualmente invisibile; parliamo di un gioco che viene completamente bloccato. Venderlo risulterebbe illegale (il possesso, invece, sarebbe permesso).
Non è la prima volta che si arriva a qualcosa del genere: Carmageddon aveva avuto una sorte simile, ma il gioco era stato poi sbloccato da un appello vinto dagli sviluppatori.

Come si comporterà Rockstar? A meno che non scelga di appellarsi alla decisione, probabilmente rivedrà il gioco e lo risottoporrà al rating americano e inglese. Potrebbe finire un periodo fortunato per questo sviluppatore controverso, che ha fatto proprio il vecchio adagio secondo cui non esiste cattiva pubblicità. Questa tecnica potrebbe non funzionare più, se i giochi Rockstar (e più in generale Take-Two) iniziassero a venire bloccati e costretti ad una revisione più o meno pesante.

Un po’ di background per i distratti: il primo Manhunt seguiva i passi di un condannato a morte costretto a difendersi da bande di maniaci criminali, mentre veniva ripreso da un regista folle intento a girare una specie di Snuff Movie.
Già il precedente capitolo della serie aveva avuto i suoi problemi: bandito in Nuova Zelanda (dove addirittura il possesso di una copia del gioco è illegale), in seguito in Gran Bretagna al centro di feroci polemiche.
Il caso in questione è di un certo interesse e andrebbe riportato nella sua interezza. Nell’ambito di un’indagine per omicidio, il gioco finisce sotto i riflettori (sarebbe stato in possesso dell’assasino); in realtà la polizia non segue con particolare attenzione questa pista, cavalcata soprattutto dai giornali. Montato il caso e ritirate le copie del gioco dagli scaffali di alcune catene inglesi, si scopre che in realtà una copia del gioco era stata ritrovata a casa della vittima (peraltro minorenne), non dell’assassino.

C’è da dire che, dal punto di vista narrativo, il primo Manhunt non è maggiormente sconvolgente di tanti film del filone vendicativo: il protagonista utilizza metodi efferati per difendersi, ma è messo alle strette da una situazione estrema e non può fare altro. Al contrario che in GTA poi, non esistono ‘civili’ e quindi il giocatore può scatenare la sua violenza soltanto su altri personaggi ostili. C’è un però: al contrario di quanto accade in GTA, l’efferatezza viene premiata. Mentre in quest’ultimo infatti non viene affatto premiato lo scagliarsi verso i ‘civili’ (anzi, in diverse situazioni farlo può risultare in penalità all’interno del gioco che rendono più difficoltoso il completamento delle missioni) in Manhunt il giocatore riceve un corrispettivo in punti corrispondente all’efferatezza delle uccisioni che compie.

C’era chi scomodava Pasolini: in realtà la posizione di Manhunt 2 pare più vicina a quella di Cannibal Holocaust, film maledetto di Ruggero Deodato che tanti problemi causò ai suoi autori.
I tratti in comune sono tanti, a cominciare dai problemi con il BBFC (la copia completa della pellicola è tutt’ora vietata in Gran Bretagna). Entrambi sono stati accusati di giocare con l’estremo (e d’altro canto entrambi sono stati difesi sostenendo che quanto mostrano è da intendersi come una critica della società e non come una sua esaltazione).
La differenza è che oggi Cannibal Holocaust se la caverebbe con poco. E’ stato superato da film più recenti e da rappresentazioni della realtà estremamente dettagliate un tempo impensabili (si pensi all’uccisione in video di prigionieri).

La domande a questo punto sono due: per prima cosa, i videogame sono sottoposti ad un maggior numero di limitazioni rispetto ai film e ai fumetti? e soprattutto, dovrebbero averne?
Mentre rispondere alla prima domanda è abbastanza facile, rispondere alla seconda è questione di sensibilità personale e probabilmente sarà oggetto di ulteriore dibattito nei prossimi anni. Pare comunque chiaro che la preoccupazione dei censori al momento sia più focalizzata sull’interattività che sulla resa realistica della violenza.

Quello che è certo è che la comunità di sviluppatori e giocatori sul caso si è divisa. C’è chi accusa i censori ma anche chi rimprovera Rockstar di avere avuto negli anni un comportamento spregiudicato e di aver alla fine superato il limite.
Difficile comunque giudicare senza aver provato il gioco: e a meno che alla fine non esca inalterato da qualche parte sono sicuro che molti di noi resteranno con il dubbio; ma era davvero così pericoloso per la nostra collettività?

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